Con singolare specificità rispetto al tema delle ville e dei palazzi, Il teatro della natura tra città e campagna offre una rara occasione per misurare i grandi filoni della storia del giardino: hortus conclusus o verziere di monasteri e di case cittadine, locus amoenus delle delizie umanistiche, teatro della natura e spettacolo della scena barocca, paesaggismo, modernismo e contemporaneità. Uno spazio segreto di natura, quello del giardino si apre alle infinite variazioni della cultura, delle mode, delle sperimentazioni botaniche, nel controluce di una società opulenta e colta che mantiene standard di qualità anche quando il passaggio dalla complessa, ma unitaria, gestione aristocratica del paesaggio di villa a quella più sfaccettata ed eterogenea della classe borghese provoca profonde modifiche del territorio. Su questo sfondo si muovono relazioni nazionali e internazionali che tessono una rete minuta di giardini, esuberanti di acque, di artifici di natura e arte, di sensibilità atmosferiche, di curiosità botaniche. A modellarli e rimodellarli adattandoli ai singoli contesti topografici, alle variazioni delle proprietà, alle istanze celebrative dell’ennoblement, contribuisce una committenza di mercanti che spesso ricopre cariche diplomatiche e politiche, tra la Toscana, Roma e l’Europa delle corti, entrando in contatto con architetti, giardinieri, fontanieri, scenografi, artisti. Lo stesso cantiere delle mura urbane,che si prolunga per oltre un secolo, si rivela un epicentro d’irradiazione di tecniche costruttive e di magisteri. Il controllo prospettico, i movimenti di terra, le spianate, la messa a dimora delle alberature sono il terreno di confronto tra ingegneri militari e giardino, come dimostra tra tutti, il ruolo centrale di Muzio Oddi nell’impianto di almeno due importanti ‘teatri’ barocchi: quello Cenami Mansi a Segromigno e Garzoni a Collodi. E se il senso del teatro alimenta l’intera vita del giardino come luogo eletto di mise en scène della natura, i paradisi barocchi (tra tutti quello Santini di Camigliano, Orsetti di Marlia, Garzoni di Collodi) rappresentano un vero e proprio crogiuolo di segni e simboli, d’invenzioni prospettiche, di complesse pratiche idrauliche, di ricercate selezioni floreali. Grotte e scene verdi (con l’eccezionale primato del teatro di verzura di Marlia) offrono una quantità di declinazioni spettacolari, in molti casi portavoce di una cultura ermetica e sapienziale, che esprime l’inquietudine religiosa diffusa in ambito lucchese dal XVI secolo. Anche a Lucca l’universo del giardino si trasforma tra la fine del Settecento e i primi dell’ Ottocento. A filtrare le istanze più innovatrici della sensiblerie per la natura contribuiscono vari fattori, a partire dalla diffusione assai precoce della cultura illuminista d’oltralpe con l’edizione lucchese dell’Encyclopédie e la partecipazione attiva di Ottaviano Diodati, alla costruzione del giardino anamorfico di Collodi, la divulgazione del poema di Delille attraverso la traduzione del Martelli Leonardi; infine l’introduzione del modello paesaggistico con l’intervento napoleonico a Marlia. Da qui, il giardino formale si svolge in deambulazioni emozionali che rompono il controllo geometrico della visione per sminuzzare lo spazio tra boschi, laghetti, viali tortuosi, introducendo effetti pittorici e intriganti giochi di luci e ombre. La vicenda del giardino lucchese feconda e apre orizzonti nuovi della cultura del Moderno, col ritorno della geometria e della regola, esiti art déco e ispirazioni ispano-moresche, come nelle stanze verdi del parco novecentesco di Gréber a Marlia e, infine, con le istanze del contemporaneo, negli inediti interventi di Porcinai alle ville del Duca, Buitoni, Piselli Lesa che segnano un sottile e sensibile confine tra tradizione e innovazione.
Uno studio come questo pone un importante tema di riflessione, quello della percezione del giardino come palinsesto in continua trasformazione biologica, antropica, culturale: il rapporto tra giardino e spettatore, la maniera d’interrogarlo attraverso documenti eterogenei, i complessi valori relazionali legati ai diversi livelli di lettura del fenomeno e della sua immagine. In tal senso il giardino diviene fenomeno fisico, gioco incessante di elementi, in una parola si reifica, attraverso il racconto dei viaggiatori che ne colgono l’istante, lo fissano nella specificità dell’hic et nunc, ovvero lo idealizzano nelle vedute celebrative o nella dimensione favolistica e poetica. E ciò, a dispetto dello scorrere del tempo, delle ideologie e dei tornadi epocali, reali o metaforici che siano. Entrano quindi in gioco gli strumenti di studio del giardino che in questo lavoro incrociano inevitabilmente più livelli di analisi diacroniche e sincroniche e più voci che misurano, immaginano, narrano. Topografi e viaggiatori, vedutisti e arcadi, teorici e pratici, intrecciano la loro narrazione coi vari artefici del progetto che sfilano sulla scena lucchese affianco a personalità del calibro di Le Nôtre, Juvarra, André, Gréber, Porcinai… Quello che emerge con forza nell’identità lucchese è la sua organicità col paesaggio rurale, una campagna fertile che sembra un grande giardino. Così appare agli occhi dei viaggiatori che dal xvial xxsecolo raggiungono Lucca, da Montaigne al Martini, a Sutton: terreni agricoli, coltivati con viti e ulivi si alternano ai boschi con le uccelliere e le ragnaie che raggiungono i recinti chiusi del giardini di villa, luoghi segreti dell’utile e del diletto. Esemplare è la simmetria tra lo spaccato seicentesco di vita agreste (quello noto del Checchi di villa Parensi a San Michele di Moriano) e il senso laborioso e creativo di un’agricoltura come ‘giardinaggio’ che si riverbera, a distanza di due secoli, nelle parole di James Fenimore Cooper, lo scrittore americano celebre per il suo Ultimo dei Mohicani. A segnare un limite ma anche una koinè tra città e campagna e, più specificamente tra giardini urbani e delizie di villa, sono le mura della città, nel loro bipolarismo simbolico di recinto rassicurante di verzura, più che di minacciosa immagine militare. Raccontata in questo volume, la vicenda del giardino lucchese trova una straordinaria organicità sia nella dimensione paesaggistica che in quella storica. Un incrocio di sguardi, di modi di vivere il piacere del coltivare e di godere una mise en scène della natura che lascia tracce durature giungendo fino a oggi. Un sistema fortemente coeso col paesaggio della campagna che varia nel tempo e con estrema lentezza conservando modelli e stili di lunga durata.
Le foto sono di Luca Lupi
Cod: 9788800000191
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